23 Giugno 2021 – 09:04
(di Emmanuele Barbieri-Roberto de Mattei)
Chi è il vero autore degli scritti dell’arcivescovo Carlo Maria Viganò negli anni 2020-2021? Proviamo ad offrire una risposta alla domanda che abbiamo sollevato su Corrispondenza Romana iniziando da un metodo sicuro: l’analisi e la comparazione degli scritti con i testi di altri autori rintracciabili sul web. Ciò che in gergo scientifico si chiama ricerca stilometrica.
Ebbene, l’analisi degli elementi lessicali e stilistici ci conduce a un solo possibile autore: “Cesare Baronio”, o “Baronius”, creatore e autore, dal 2010 al 2020, del blog Opportune Importune (ATTENZIONE alle ore 10 del 23 giugno, poco dopo la pubblicazione dell’articolo, il sito Opportune Importune è stato prontamente rimosso e per questo tutti i link dell’articolo non sono più raggiungibili. Una versione archiviata del sito è comunque consultabile a questo link. Se la nostra analisi stilometrica non fosse esatta, perché “Baronius”, o chi per lui, ha rimosso il sito Opportune Importune?)
“Cesare Baronio” è però a sua volta uno pseudonimo e il passo successivo sarà quello di cercare di svelarne l’identità.
Abbiamo condotto un’ampia analisi delle assonanze di stile e di contenuto tra i testi di Baronio e quello che chiameremo, da adesso, Viganò II, per distinguere i suoi scritti del 2020-2021 da quelli, ben diversi, del Viganò I, degli anni 2018-2019. Ci limitiamo, per ragioni di spazio a qualche esempio.
Comune a Baronio e a Viganò II è l’attribuzione ai progressisti dei termini “contro-chiesa”, “setta conciliare” (qui; qui o “novatori” (qui; qui).
Il Concilio Vaticano II è più volte definito da entrambi come un “idolo”. Per Baronio, finché «l’idolo conciliare non sarà abbattuto, assieme alla infausta memoria dei suoi artefici, sarà impossibile punirne i gran sacerdoti che assediano Roma da cinquant’anni» (10 gennaio 2013, qui). Anche Viganò II, nella sua recente Intervista sulla Liturgia definisce il Vaticano II un idolo e, come Baronio, stabilisce una equazione Vaticano II – Novus Ordo Missae.
Baronio e Viganò II, quando si riferiscono al Novus Ordo di Paolo VI, parlano sempre di «rito riformato» o «rito montiniano». Viganò II scrive che «gli artefici di quella liturgia» furono «prelati spesso in sospetto di appartenenza alla Massoneria, notoriamente progressisti» (qui; Baronio parla a sua volta di «un rito composto da prelati notoriamente progressisti e massoni» (25 novembre 2018, qui).
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I libri della nuova liturgia, per Baronio sono «messali stampati la cui funzione era quella di canovaccio cui far riferimento per le edizioni nelle diverse lingue nazionali» (15 gennaio 2013, qui. Per Viganò II questi libri liturgici «sono pensati come un brogliaccio, un canovaccio alla mercé di attori più o meno talentuosi alla ricerca del plauso del pubblico» (Qui).
Per Baronio «l’offertorio scompare del tutto per far posto a una preghiera giudaica di sapore panteistico» (25 novembre 2018, qui: https://opportuneimportune.blogspot.com/2018/11/questa-o-quella-per-me-pari-sono-in.html); Viganò II la definisce questa preghiera «offertorio talmudico» (qui).
Secondo Viganò «la cosiddetta “casula gotica” nelle forme che hanno preceduto il Concilio, soprattutto in Francia, è diventata quella specie di poncho che dopo il Concilio ci è stato spacciato come recupero della forma originale», ma si tratta di «un falso storico oltre che liturgico» (qui). Baronio aveva scritto che: «la casula conciliare è un orrido poncho che nulla ha a che vedere con la planeta descritta da San Carlo Borromeo (Instructionum fabricae, 1557), che troviamo raffigurata in moltissimi affreschi, quadri, miniature e smalti sin dal Medioevo» (11 gennaio 2014, qui).
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Viganò denuncia «i tentativi di rendere presentabile la liturgia riformata con operazioni di maquillage oggettivamente inutili» (qui). Baronio scrive che le «operazioni di maquillage rituale al Novus Ordo sono a nostro avviso destinate, nella maggior parte dei casi al più infelice naufragio» (15 gennaio 2013, qui).
Si potrebbe continuare all’infinito, ma ciò che più conta, al di là delle coincidenze verbali è il medesimo tono, che esprime una compiaciuta conoscenza liturgica, teologica e storica, che Baronio ha ostentato per dieci anni nel suo blog, ma che risulta totalmente assente dai due anni di interventi pubblici di Viganò I.
Ma chi si cela dietro lo pseudonimo di Cesare Baronio (1538-1607), il celebre cardinale e storico oratoriano, allievo di san Filippo Neri?
Si potrebbe dire che poco importa la soluzione del mistero, perché ciò che conta, non è “chi” l’ha detto, ma “cosa” viene detto. Il problema però nasce proprio da alcune affermazioni stravaganti di Baronio-Viganò II, soprattutto in materia di escatologia e “Gran Reset”, che pongono inquietanti interrogativi sulla vera identità del consulente teologico-liturgico dell’arcivescovo milanese.
Purtroppo, dietro lo pseudonimo di Cesare Baronio sembra celarsi, non un teologo di sicura dottrina, ma un personaggio non privo di intelligenza e di cultura ecclesiastica, ma mancante di quella coerenza ed integrità che rende affidabile un collaboratore. Un personaggio che nella sua vita ha assunto, e continua ad assumere molteplici identità e che con l’ultima identità assunta, quella dell’arcivescovo Viganò, realizza ciò che forse ha sempre desiderato: presentarsi come un uomo di Chiesa, senza gli obblighi pastorali e morali che questa alta vocazione comporta.
A questo punto non ci resta che fare il nome del personaggio, ricorrendo non a voci generiche ma a documenti e fonti, da noi controllate: il nome dell’“eminentissimo Cesare Baronio” è Pietro Siffi.
Ma chi è costui?
Dobbiamo partire da una data specifica. L’8 maggio 2020, Mons. Viganò lanciò un appello contro il “Nuovo Ordine Mondiale” , denunciando «la nuova torre di Babele, il castello di carte del Covid, la farsa dei vaccini, la frode del Great Reset», a cui apposero le lorofirme i cardinali Gerhard Müller Giuseppe Zen Zekiun e Robert Sarah, che l’ha poi ritirata. Questo appello fu il primo documento a suscitare forti interrogativi nel mondo cattolico a lui vicino, fino a spingere alcuni suoi amici ed estimatori a non sottoscriverlo.
Quel che fin da allora si seppe è che Mons. Viganò si rivolse a un suo collaboratore per predisporre la pubblicazione e la sottoscrizione dell’appello. In quel mese di maggio il collaboratore inviò a gruppi e personalità del mondo cattolico un avviso «IMPORTANTE E URGENTE!» in cui, «su richiesta di Sua Eccellenza Mons. Viganò», rivolgeva una richiesta di adesioni al documento, da inviare a suo email personale.
Ebbene, nell’avviso di maggio 2020, il nome e l’e-mail del collaboratore di Mons. Viganò incaricato della raccolta delle firme era quello di Pietro Siffi, un personaggio conosciuto e discusso nel mondo tradizionalista italiano.
Pietro Siffi è nato a Venezia l’11 settembre 1969. Riceve la Cresima nella Parrocchia S. Zaccaria e Atanasio il 22 maggio 1984. Dopo gli studi al Liceo “Marco Foscarini” di Venezia, entra nella Fraternità Sacerdotale San Pio X dove nel Seminario “Saint Curé d’Ars”, a Flavigny sur Ozerain (Francia), il 1° febbraio 1990 riceve la Cresima “sub conditione”. Due giorni dopo riceve a Flavigny la tonsura, divenendo membro della FSSPX. Ma dopo qualche tempo lascia, o è costretto a lasciare, la Fraternità. Non ne conosciamo i motivi, così come non sappiamo quali sono i motivi che qualche anno dopo lo spingono a lasciare l’Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote di Gricigliano dove entra (ed esce) come seminarista.
Dal 1990 al 1994 Siffi frequenta l’Università della Sorbona (qui, poi, per qualche tempo se ne perdono le tracce, anche se qualcuno lo ritiene autore di un imbarazzante libro pubblicato sotto pseudonimo.
Di sicuro Pietro Siffi continua a coltivare i suoi interessi ecclesiastici. Nel 2007, per i tipi di Marietti Editore, cura la riedizione del Compendio di Liturgia Pratica di padre Ludovico Trimeloni con la prefazione del cardinale Darío Castrillón Hoyos, presidente della Pontificia Commissione Ecclesia Dei.
Nel Compendio di Trimeloni, Siffi si presenta come Presidente dell’Archivum Liturgicum di Ferrara. Il 14 marzo 2007 dal blog Archivum liturgicum, “Baronio” o “Baronius” annuncia che di lì a poco uscirà il Compendio di liturgia pratica (qui), ma il primo annuncio della pubblicazione dell’opera risale addirittura al 25 settembre 2006 e Siffi è presentato come presidente dell’Archivum Liturgicum Sacrosanctae Romanae Ecclesiae…
Già si annuncia che Benedetto XVI liberalizzerà l’antica liturgia romana . Evidentemente Baronio/Siffi ha buone informazioni dal mondo tradizionale e vaticano e nel 2007 pubblica un libro sulla Messa di San Pio V (qui; qui).
Un articolo di Roberto Beretta su Avvenire del 25 gennaio 2008 recensisce in termini tutt’altro che elogiativi la terza edizione del Compendio di liturgia pratica di Trimeloni-Siffi, giunto alla seconda ristampa. Avvenire del 29 gennaio 2008 ospita la replica di Siffi che si presenta come “Pietro Siffi degli Ordelaffi conte di Sassorosso” (vedi qui). In realtà nel Libro d’oro della nobiltà italiana pubblicato dal Collegio Araldico, Edizioni 1986-1989 e successive, non risulta l’esistenza di nessun conte Siffi degli Ordelaffi.
Siffi non è solo uno scrittore e liturgista tradizionalista. È un imprenditore. Nel 2010 crea a Ferrara “Ars Regia”(qui), che presenta in maniera “morbida” e seducente, come «uno studio di interior design specializzato nella proposta di complementi d’arredo di prestigio e di esclusivi tessuti d’arte». «I nostri complementi d’arredo permetteranno di dare un tocco di sottile eleganza e di charme alla propria dimora o ad un locale alla moda, differenziandosi dalle scontate proposte di grande diffusione e conferendogli un comfort decisamente esclusivo e glamour, dove con questo termine non si intende la semplice bellezza ma un atteggiamento, una sensazione, uno stato d’animo, con tutte le implicazioni di eleganza, sensualità e seduzione. L’immagine alla moda, il fascino colto ed evocativo dell’Oriente e dell’India, il lusso immaginifico e inconfondibile che richiama le famose location della Costa Azzurra, della Grecia, della Spagna, o della California sono tutti elementi che possono migliorare radicalmente l’aspetto di una residenza privata, un locale sul mare, un lounge bar: passione per l’abitare e per il vivere, per il calore domestico ma anche per l’estroso fervore mondano».
Nel corso della recita dell’Angelus del 10 ottobre 2010, appare un nuovo stemma papale di Benedetto XVI, ornato della tiara secondo l’antico uso. Siffi, creatore dello stemma, commenta: «Questo stemma, interamente ricamato a mano, è stato realizzato dall’atelier ferrarese di paramenti sacri Ars Regia e ripropone lo scudo con gli emblemi del Pontefice e il Pallio ornato di croci rosse. (…) La differenza rispetto al modello precedente – che alcuni attribuiscono al Cardinal Montezemolo – è che questo stemma reca nuovamente il triregno – la triplice corona del Sommo Pontefice – anziché la mitria, ripristinando l’antico uso, cui non aveva rinunciato nemmeno Giovanni Paolo II».
Nell’Angelus del 24 ottobre 2010 lo stemma misteriosamente apparso, altrettanto misteriosamente scomparve. Qui il commento di Baronio, che, come molti sanno è lo pseudonimo scelto da Pietro Siffi per continuare, sul nuovo blog Opportune Importune, inaugurato nel 2010, le sue dotte disquisizioni in campo teologico e liturgico.
Baronio difende Pietro Siffi e Ars Regia, poi replica ad alcuni con stile ampolloso e un po’ effeminato: «Mi pare che su Pietro Siffi gravi una sorta di ostracismo molto ipocrita, alimentato non tanto dai concorrenti oggi più in auge, quanto da alcuni meschini personaggi azzimati e démodé, che trascorrono il proprio tempo a denigrare la vita altrui, non avendone una propria. (…) La cosa sconcertante è che queste conventicole di teatranti organizzano pontificali in sedicesimo, dipanando metri e metri di seta marezzata tra il tinello e la camera da letto, e non si peritano di ostentare anche su internet tristissime camerucce debordanti di pizzi e merletti, mediocri salottini anni Venti con gli strapuntini, i tappetini, il quadretto del Duodecimo benedicente, un cappello prelatizio con fioccature da tenda, spille, gemelli fatti con i camei di mammina, occhiali d’oro, grammofoni e tutto il repertorio del trovarobato da amica di nonna Speranza.
(…) Credo che prima o poi Siffi o chi per lui si stancheranno di sopportare questi continui attacchi e inizieranno a render pan per focaccia – come si suol dire – sbugiardando una volta per tutte questi svirilizzati borghesucci senz’arte né parte, tanto ricchi di velleità snob quanto poveri di senso della misura. E sono certo che se si scoprissero certi altarini, se si portassero alla luce certe scomode verità, forse la finirebbero di dar noia al prossimo…» (vedi qui).
Nel 2011 Siffi fonda con Fabio Zardi un atelier di planning e decorazione che nel 2019 è diviso in due aziende: Fabio si occupa di floral design e decorazione, Pietro si dedica a planning e organizzazione di eventi anche matrimoni (vedi qui).
Siffi passa con disinvoltura dall’attività culturale e letteraria alla liturgia, dagli arredi sacri all’organizzazione di matrimoni ed è su quest’ultimo campo che scopriamo una sconcertante rivelazione: il poliedrico personaggio organizza anche matrimoni gay o, come si dice in gergo, “gay wedding”!
Sul sito di Pietro Siffi troviamo, tra l’altro, il “Project tag: matrimonio gay” e il servizio del “matrimonio” di due uomini, Arman e Dylan, nell’isola greca di Santorini con tanto di video.
L’agenzia di viaggi omosessuali Travelgay definisce Santorini come «una splendida isola, calda e ospitale situata nel Mar Egeo, dopo Mykonos senza dubbio la più apprezzata dal mercato Italiano e amata molto anche dal mercato gay e lesbo» (qui).
Anche il socio o ex socio di Siffi, Fabio Zardi si occupa di gay wedding. Curioso notare che il numero di “phone” di Zardi (qui) coincide con quello di Siffi (qui).
Il ghost-writer di mons. Viganò, l’arcivescovo che ha sempre giustamente denunciato l’esistenza di lobby gay all’interno della Chiesa (qui; qui ), è dunque un personaggio gay-friendly ?
In questo caso, l’arcivescovo Viganò, che è un rispettabilissimo prelato, rischia di perdere la sua credibilità e deve rendersi conto che potrà riacquistarla solo quando muterà il tono e i contenuti dei suoi interventi pubblici, incautamente affidati ad un controverso collaboratore. Non si può separare ciò che pubblicamente appare sotto il nome di mons. Viganò dall’identità di chi sembra essere l’autore dei suoi scritti.
Chiediamo a questo punto a mons. Viganò: è vero o no che egli si serve, in tutto o in parte, dell’aiuto di Pietro Siffi? Mons. Viganò era a conoscenza delle molteplici attività di Siffi?
Ma la domanda più importante che gli rivolgiamo è questa: Mons. Viganò è disposto a prendere pubblicamente le distanze dal personaggio che noi suggeriamo possa essere il suo ghost-writer?
Mons. Viganò è un uomo forse temerario, ma certamente leale. Gli chiediamo di dire la verità, perché la verità riscatta da qualsiasi errore, mentre la menzogna carica l’errore, anche incolpevole, di una grave responsabilità morale.
Per quanto riguarda Pietro Siffi non abbiamo voluto entrare nella sua vita privata, che a lui solo appartiene, ma ci siamo limitati a far conoscere ciò che di lui è pubblicamente noto, anche sotto diverse identità e travestimenti. Anche a lui chiediamo di assumersi la sua responsabilità, misurandosi con il suo vero nome, nel dibattito intellettuale del nostro tempo, a cui ha dato e potrà continuare a dare il suo contributo.
Da parte nostra ci siamo mossi sulla scia delle raccomandazioni che san Pio X dava ai giornalisti e Leone XIII dava agli storici: la Chiesa non ha mai paura della Verità.
(*) Emmanuele Barbieri-Roberto de Mattei, 23 giugno 2021