Incendio accidentale o altro a Piccola Nazareth?
- Autore articoloDi Max Tex
- Data dell’articolo 28 Maggio 2021
Luc 5:17-26
In illo témpore: Factum est in una diérum, et Iesus sedébat docens. Et erant pharisǽi sedéntes, et legis doctóres, qui vénerant ex omni castéllo Galilǽæ et Iudǽæ et Ierúsalem: et virtus Dómini erat ad sanándum eos. Et ecce, viri portántes in lecto hóminem, qui erat paralýticus: et quærébant eum inférre, et pónere ante eum. Et non inveniéntes, qua parte illum inférrent præ turba, ascendérunt supra tectum, et per tégulas summisérunt eum cum lecto in médium ante Iesum. Quorum fidem ut vidit, dixit: Homo, remittúntur tibi peccáta tua. Et cœpérunt cogitáre scribæ et pharisǽi, dicéntes: Quis est hic, qui lóquitur blasphémias ? Quis potest dimíttere peccáta nisi solus Deus? Ut cognóvit autem Iesus cogitatiónes eórum, respóndens dixit ad illos: Quid cogitátis in córdibus vestris? Quid est facílius dícere: Dimittúntur tibi peccáta, an dícere: Surge et ámbula? Ut autem sciátis, quia Fílius hóminis habet potestátem in terra dimitténdi peccáta ait paralýtico: Tibi dico, surge, tolle lectum tuum et vade in domum tuam. Et conféstim consúrgens coram illis, tulit lectum, in quo iacébat: et ábiit in domum suam, magníficans Deum. Et stupor apprehéndit omnes et magnificábant Deum. Et repléti sunt timóre, dicéntes: Quia vídimus mirabília hódie.
Lectio
Léctio Ioélis Prophétæ
Ioël 2:23-24; 2:26-27
Hæc dicit Dóminus Deus: Exsultáte, fílii Sion, et lætámini in Dómino, Deo vestro: quia dedit vobis doctórem iustítiæ, et descéndere fáciet ad vos imbrem matutínum et serótinum, sicut in princípio. Et implebúntur áreæ fruménto et redundábunt torculária vino et óleo. Et comedétis vescéntes et saturabímini, et laudábitis nomen Dómini, Dei vestri, qui fecit mirabília vobíscum: et non confundátur pópulus me us in sempitérnum. Et sciétis, quia in médio Israël ego sum: et ego Dóminus, Deus vester, et non est ámplius: et non confundétur pópulus me us in ætérnum: ait Dóminus omnípotens.
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(Sofia) Sapienza (teologia) In ambito teologico e religioso la Sofia, dal greco antico Σοφία, Sophia, è una personificazione della sapienza divina.[1] Mentre nella filosofia greca indicava un sapere certo e assoluto, nella teologia ebraica e cristiana essa diventa un attributo di Dio,[1] anteriore alla creazione, manifestandosi in questa come governo retto e saggio dell’universo.[2] La Sapienza è il dono che ci concede il gusto della conoscenza del creato e quindi del suo Creatore, Dio, per conoscerlo e amarlo. Essa ci aiuta soprattutto a saper distinguere il bene dal male. La Sapienza può nascere in noi solo come dono di Dio perchè ha Dio come origine e come fine: Dio ama me, io amo Dio. E’ questa una relazione che non nasce dalle nostre forze, ma che c’è stata regalata!
(Nous) Intelletto -Per la teologia cristiana l’Intelletto è uno dei sette doni dello Spirito Santo.[17] Esso consente una comprensione immediata delle verità di fede, offrendo all’anima una visuale più viva e completa sulla realtà divina. Mentre la fede rappresenta una semplice adesione ai contenuti della Rivelazione, col dono dell’intelletto è possibile elevarsi ad un maggior livello di comprensione, non solo razionale, ma anche soprattutto intuitiva e interiormente sentita. Esso è quindi intelligenza del cuore oltre che della mente, che accresce le virtù del cristiano e approfondisce, senza aggiungervi nuove nozioni, i significati e le concezioni già implicite negli articoli di fede.[18]
Ad opera di Sant’Agostino la concezione teologica cristiana dell’intelletto riprende da vicino la dottrina neoplatonica, tramite la dottrina dell’illuminazione dell’intelletto umano da Dio, inteso come depositario delle idee. Il sapere dell’intelletto è per Agostino qualcosa di immediato, personale, ineffabile, simile all’intelletto di Plotino per il quale conoscere un oggetto equivale a mescolarsi, confondersi con esso.
Nella scolastica medioevale ispirata soprattutto ad Aristotele, ad esempio con San Tommaso, oltre a quelli neoplatonici si mantengono gli elementi fondamentali della concezione aristotelica. Permane così la differenza tra ragione e intelletto: mentre la prima conosce discorsivamente una realtà nelle sue relazioni con gli altri oggetti, l’intelletto arriva invece a penetrarne l’essenza in maniera assoluta e unitaria.
Consiglio (teologia) – Il credente riconosce che questo dono dello Spirito Santo agisce sulla sua intelligenza:
Il fedele riconosce nel dono del consiglio il mezzo per conoscere la volontà di Dio nelle situazioni particolari della sua vita.
Il dono del consiglio è il fondamento della guida spirituale.
Fortezza È il dono del coraggio, della costanza, della tenacia: uno scrittore dei primi secoli del Cristianesimo paragonava lo Spirito Santo all’allenatore e l’allenatore, si sa, prepara alla fatica. Anche questo dono ha due dimensioni, quella passiva ci aiuta a resistere agli attacchi del male, mentre quella attiva è la forza d’attacco per vincere il male con il bene. Alcuni ideali propostici dal Vangelo sembrano irraggiungibili, per questo se vogliamo davvero viverli, dobbiamo essere umili e chiedere l’aiuto dello Spirito Santo tramite il dono della Fortezza.
Scienza Questo dono può essere espresso anche col termine “conoscenza” che nella Bibbia significa anche “amare”. Chi ama capisce meglio, capisce prima, capisce di più. Il dono della Scienza insegna ad amare una persona se la si vuole capire e anche Dio lo si comprende solo amandolo. Mentre nel nostro linguaggio “scienza” significa conoscenza umana di tipo tecnico, mediante la quale si arriva a dominare il mondo, nel linguaggio biblico “Scienza” è la capacità di conoscere il mondo, senza dominarlo, ma, al contrario, riconoscendo Dio come Creatore. Scienza dunque è la luce per vedere nelle cose e nelle persone la bellezza e la potenza di Dio, ma è anche la conoscenza che scaturisce dall’amore: il cuore che ama comprende più della mente. Il cuore si apre alla fiducia in Dio e accetta anche ciò che non si capisce (prove e dolore).
Pietà (teologia) – La pietà (dal latino pietas, in greco classico εὐσέβεια) è un concetto teologico che descrive l’affetto, il rispetto e l’obbedienza che il credente ha per Dio e per le cose sacre. Secondo la teologia cristiana questi sentimenti non sono dovuti alla paura del credente per la potenza della divinità, ma ad un’esigenza interiore di gratitudine per l’amore che il fedele sente di ricevere dal suo Dio. Nella teologia cristiana, la pietà è uno dei sette doni dello Spirito Santo, cioè una di quelle disposizioni abituali che qualificano il rapporto del credente con Dio[2], rendendolo capace di desiderare quello che Dio desidera, e raggiungere quella confidenza che gli permette di rivolgersi alla divinità chiamandola “padre”. Sebbene la pietà nel senso cristiano sia principalmente un attributo del rapporto del credente con Dio, essa lo dispone anche ad un atteggiamento di delicatezza e di rispetto verso il prossimo come un riflesso del sentirsi figli dello stesso padre. Il nome di questo dono non ha nulla a che fare con il senso negativo che gli attribuiamo noi oggi ma è strettamente legato al termine latino “pietas”, l’amore famigliare tra i genitori e i figli.La Pietà è il dono che ci aiuta a credere sul serio che Dio è Padre e ci ama, ci dà forza, pace e gioia. Il dono della Pietà porta a fidarci di Dio con lo stesso abbandono di un bambino che si sente sicuro tra le braccia di papà e mamma anche quando è sospeso sul vuoto.
Timor di Dio Il dono del Timore ci fa diventare consapevoli della grandezza di Dio, Egli è buono, ma è anche forte e potente. A lui si devono rispetto e ubbidienza: Dio non si può prendere in giro. Il Timor di Dio ci è donato anche per ricordarci che non possiamo fare sempre quello che ci pare e piace perchè non siamo noi i padroni del bene e del male, quindi non possiamo far diventare giusto ciò che è ingiusto, lecito ciò che è illecito. Timor di Dio non è affatto paura di Dio, ma è rispetto e stima verso di Lui, se ci può essere sfumatura di paura deve essere quella di perdere Dio o di offenderlo. Il Timor di Dio mira inoltre a ricordarci un dovere molto importante: il dovere di non dire stupidaggini su di Lui.
(Messainlatino.it – 25 maggio 2021) Si tratta, per adesso, di notizie ancora frammentarie, da nostre plurime fonti all’interno della CEI ed episcopali, ma sembra che ieri (24.5.2021) il Papa, rivolgendosi ai vescovi italiani in apertura dei lavori dell’assemblea annuale della CEI (e in un successivo incontro con un gruppo di loro), abbia preannunciato l’imminente riforma in peggio del Motu proprio Summorum Pontificum.
Dopo l’ennesima messa in guardia dall’accogliere in seminario dei giovani “rigidi” (cioè fedeli alla dottrina), Francesco ha annunciato ai vescovi che è giunto alla terza stesura di un testo che reca misure restrittive in ordine alla celebrazione da parte dei sacerdoti cattolici della Messa nella forma extraordinaria liberalizzata da Benedetto XVI il quale, a suo dire, con il Summorum Pontificum voleva andare incontro solo ai lefebvriani, ma che oggi sono soprattutto i giovani preti a voler celebrare la Messa tridentina magari non sapendo neanche il latino.
In proposito ha raccontato di un vescovo al quale si era rivolto un giovane prete manifestandogli l’intenzione di celebrare nella forma extraordinaria. Alla domanda se sapesse il latino, il giovane prete gli ha detto che lo stava imparando. Al che il vescovo gli ha risposto che sarebbe stato meglio imparasse lo spagnolo o il vietnamita in quanto in diocesi erano molti gli ispanici e i vietnamiti.
A quanto si comprende, si ritornerebbe all’indulto – con previa autorizzazione del vescovo, o addirittura del Vaticano – con tutto ciò che ne consegue e cioè una reintroduzione del divieto di celebrare secondo il Messale di San Giovanni XXIII, tantissimi dinieghi delle autorizzazioni e la pratica ghettizzazione dei sacerdoti e dei fedeli legati all’antico rito. Dopo Mose il liberatore, ritornerebbe il Faraone.
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La credenza che il Summorum Pontifucum sia stato redatto solo per andare incontro ai lefrebvriani è infondata e falsa: non solo perché lo si evince dal testo del Motu proprio (e dall’Universae Ecclesiae) ma a dirlo espressamente è lo stesso Benedetto XVI che a pagina 189 – 190 del libro “Ultime conversazioni” (a cura di P. Seewald, ed Corriere della Sera, si veda foto sotto) secondo cui la riabilitazione della Messa antica col Summorum Pontificum non deve essere assolutamente inteso come concessione alla Fraternità, ma come via perché tutta la “Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato. Ciò che prima era sacro non divenisse da un momento all’altro una cosa sbagliata. Adesso non c’è un’altra Messa. Sono che diverse forme dello stesso rito”.
Un sacerdote ci ha detto a tal proposito: “Non mi sembra strano, che i vescovi attacchino il Summorum Pontificum: dopo tutto quello della liturgia antica è il più grave, serio e attuale problema della Chiesa”.
Se sono arrivati già alla terza bozza vuol dire che stanno lavorando sul serio (e da tempo) per limitare e – di fatto – annullare il Summorum Pontificum. C’è quindi veramente da preoccuparsi e da pregare: Benedetto XVI avrà qualcosa da dire?
Lectio
Léctio Actuum Apostolórum
Acts 5:12-16
In diébus illis: Per manus autem Apostolórum fiébant signa et prodígia multa in plebe. Et erant unanímiter omnes in pórticu Salomónis. Ceterórum autem nemo audébat se coniúngere illis: sed magnificábat eos pópulus. Magis autem augebátur credéntium in Dómino multitúdo virórum ac mulíerum, ita ut in pláteas eiícerent infírmos, et pónerent in léctulis ac grabátis, ut, veniénte Petro, saltem umbra illíus obumbráret quemquam illórum, et liberaréntur ab infirmitátibus suis. Concurrébat autem et multitúdo vicinárum civitátum Ierúsalem, afferéntes ægros et vexátos a spirítibus immúndis: qui curabántur omnes.